domenica, aprile 29, 2007

10000 days: un anno dopo


Un anno fa usciva 10000 days, quarto disco della band californiana (se si esclude l'ep Opiate) che, più di molte altre,mi ha sconvolto in profondità. Un anno dopo, raccolgo alcune idee, su uno dei dischi più attesi degli ultimi tempi.
10000 days ha il compito di liberarsi del pesantissimo fardello del precedente capolavoro, quel catartico, illuminato, etereo fascio di arte chiamato Lateralus. E per farlo scende sulla terra. Non sulla melma nera, angosciosa e violenta di Aenima, ma nella dolce oscurità dell'anima. Chi, come me, aspettava un disco che si spingesse oltre l'infinito, rimarrà spiazzato. Bisogna lasciar perdere ogni aspettativa, ogni idea precostituita, e lasciarsi travolgere e sommergere. Così si potrà entrare in questo tunnel, infinita ripetizione di volti, e specchiarsi nel dolore. Perchè 10000 days è una toccante ed emotiva opera sul dolore. Dolore psicologico strettamente legato al dolore fisico: la morte di una madre, costretta per 27 anni alla paralisi forzata. L'opera ruota intorno alla suite progressiva di 17 minuti, composta da Wings for Marie (Part I) e 10000 days (Wings Part II), sofferta e drammatica cavalcata, dai toni epici ma mai troppo melodrammatici, incredibilmente ancorata al mondo delle lacrime, ma anche a quello degli occhi che le producono. 17 minuti di pioggia, che costituiscono uno dei picchi della carriera della band, anche dal punto di vista formale. Prendendo insegnamento tanto dal rock progressivo più evocativo, principalmente dai colossali Pink Floyd, quanto dal post rock più innovativo, i Tool inseriscono la loro personalità, la loro anima, la loro genialità.


Il resto del disco non riesce a mantenere livelli tanto elevati, ma comunque si dimostra un ottimo lavoro. La strada ottimamente intrapresa dalla sopracitata suite, così come dalla fiammeggiante Jambi, vero e proprio macigno rotolante, pesantissimo quanto sfasato e rallentato nell'incedere, che per più di metà si dimostra incredibilmente innovativo, si spezza in alcuni momenti incredibilmente trascinanti ma certamente non rivoluzionari o personali come in passato. La band cerca di scrollarsi di dosso ogni paragone con i dischi precedenti, ma la musica da loro proposta indica, inequivocabilmente, il contrario. La cosa più giusta sarebbe riuscire a calarsi in quest'opera dimenticando ogni impronta lasciata lungo il cammino, ma la cosa risulta impossibile perchè, come in un quadro surreale di Escher, troppo spesso ci ritroviamo di fronte alle tracce dei vecchi passi. Canzoni come Vicarious si sviluppano intorno al concetto di groove, energia libera che scorre, ma solo nella seconda metà si dimostrano all'altezza del nome della band (il vorticoso ed epico finale, anticipato da una spezzatissima onda di voci e da un ironica filastrocca bilanciano un inizio troppo debole e già sentito nel bel mezzo del disco precedente). Intendiamoci, non c'è un attimo di scarso interesse in questo disco, ma spesso salta all'orecchio la mancanza di capacità espressiva che aveva reso i Tool una delle band più importanti del panorama rock (non solo odierno). Manca la personalità accecante delle strutture viscide e spigolose, delle atmosfere oscure e vive, delle deflagrazioni e dei viaggi psichedelici. Cose che un tempo pulsavano e continuamente si rinnovavano. Canzoni come Rosetta Stoned, ironico attacco alla delirante ricerca, effettuata da parte della setta dei fans dei Tool, di una non ben precisata verità che si dovrebbe celare all'interno della musica del gruppo, si dimostra efficace, trascinante e in certi passaggi letteralmente grandiosa (la parte ritmica guidata da un convulso giro di basso, una batteria intricata e orientale e una chitarra gracchiante, che lascia poi spazio all'apertura melodica condotta dalla voce di Maynard, oppure lo stop and go finale degno dei migliori Soundgarden o dei Kyuss, sono tra gli apici del disco), sempre divertente per la sua voglia di frullare citazioni del passato della band, ma forse eccessivamente di maniera (cosa imperdonabile per una band che non si era mai adagiata lungo il suo cammino, ma anzi aveva sempre anticipato tutti lungo la strada, andando a costruirne una propria). La stessa cosa si può dire di Right in Two, essenziale ballata che rimanda agli A Perfect Circle, ma che pecca più volte di una mancanza di personalità (lo spettro di 46&2 è quasi imbarazzante, nel finale), oltre che di divagazione e voglia di osare, nonostante alcuni passaggi davvero intensi dal punto di vista emotivo. I Tool hanno asciugato le strutture, i suoni, le melodie della voce, i riff di chitarra, sono diventati più essenziali, diretti, quadrati, più rock, più metal, meno Tool insomma. C'è ancora un'incredibile energia nella loro musica, e una voglia di parlare di argomenti profondi senza cadere nel patetico, ma la luce fiammeggiante del genio non rimane sempre accesa, nonostante in certi frangenti risulti davvero abbagliante. Ad esempio gli inserti elettronici della bellissima Intension (oscillante, morbida, gonfia, più sintetica e coincisa della vecchia sorella Disposition) costituiscono non solo una notevole novità dal punto di vista formale, ma anche un grandioso mezzo espressivo, e sicuramente potevano essere maggiormente sviluppati nel corso dell'intero disco. The Pot, nella sua assenza di pretese (cosa insolita per i Tool), si dimostra una semplice ma incredibilmente efficace canzone rock, trascinata dall'incredibile lavoro di Justin Chancellor, vero e proprio protagonista del disco, con i suoi travolgenti riff ritmici. Ritmi frenetici e adrenalina, non più danze macabre, tanto lisergiche quanto rabbiose e convulse. Forse non è quello che ci aspettavamo dai Tool del 2006 (i tempi di Undertow dovrebbero esser stati superati) ma il groove della canzone e l'insolito modo di cantare di Maynard compensano ogni idea di involuzione. Involuzione che certamente non ha colpito il già citato Chancellor, che rivoluziona il suo modo di suonare in nome del vortice ritmico che scorre lungo tutto il disco. E se Maynard non è più la voce alienata, spezzata, abrasiva e cattiva di un tempo, ma nonostante questo è emotivamente avvolgente ed empatica, Adam Jones e Danny Carey si dimostrano molto più terreni, semplici, immediati. Meno strati e ricerca sonora, per un risultato diretto ed essenziale, meno psicologico e più fisico, così l'atmosfera che si respira nel corso dell'ascolto è un'aria nuova, viva, brillante, ricca di potenza e schiaffi in faccia, di sussuri dolorosi e risate ironiche nei confronti di tutto e tutti (anche loro stessi). L'ironia è una chiave importante per la lettura di questo disco, e si dimostra diversa da quella già utilizzata in passato dalla band, divenendo parte fondamentale dell'intera opera, quasi a contrapporsi a quel dolore già citato. Forse per allontanarsi da qualsiasi idea di gotica oscurità, tanto profonda quanto costruita a tavolino.

Anche i classici "intermezzi" evidenziano questa ironia: se Viginti Tres e Lipan Conjuring sono deboli e fiacche (e neanche molto divertenti) Lost Keys è una bella intro a Rosetta Stoned, dai toni incredibilmente lisergici, surreali, angoscianti ma anche dementi e volutamente stupidi.


Un artwork kitch, esagerato, quasi per prendersi gioco dei soliti fan-atici, si dimostra un divertente gioco psichedelico. I Tool non rivoluzioneranno il rock che già avevano sconvolto in almeno due occasioni, ma si dimostrano ancora superiori alla media, ancora creativi e con molte cose da dire. Si dimostrano ancora sulla cresta dell'onda. Rimane il rimpianto, perchè anche se non si tratta assolutamente di un passo falso, 10000 days non ha le potenzialità del passato, e il fatto che in alcuni momenti si dimostri all'altezza del nome Tool brucia ancora di più, per quello che sarebbe potuto essere. I Tool sono ancora vivi, e nutrono ancora la voglia di andare oltre, non con effetti speciali legati alla forma, ma con sostanziali rivoluzioni interiori, come quei monumentali 17 minuti, da percorrere all'interno di un tunnel di volti. Speriamo che i Tool riprendano il coraggio di percorrere quel tunnel, e gettarsi in modo convinto e sicuro nell'ignoto.

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