lunedì, gennaio 22, 2007

Catatonia

Questo è quello che sento oggi.
Squallore.

Desolazione.

Inutilità.
Cielo grigio, uniforme, senza profondità. Una lampante incapacità di reagire, e sporchi resti di autodistruzione. Lontano troneggia un resto del passato, quasi a deriderci.
Catatonia, è la parola giusta. E questa agghiacciante parola, è rispecchiata nella musica desolata della band che porta questo nome, i Katatonia appunto. Ho pensato a loro, di fronte alle ennesime siringhe infette gettate negli scarichi o disperse accanto ad una chiesa, tra gli stracci sporchi e la merda dei cani. Di fronte a drammi nascosti, dei quali ci accorgiamo quando ormai è troppo tardi, quando ormai abbiamo, volontariamente o no, contribuito. Di fronte a drammi interiori, che non abbiamo la forza di far venire alla luce, e di combattere. Ho pensato al dolore che scorre nelle loro canzoni, e alla debolezza che riescono a rappresentare con una forza impressionate, tanto da parallizzarti lo sguardo, verso il vuoto. La loro musica, intima e viva, è però anche una richiesta d'aiuto, una mano tesa verso il Sole. Ma il silenzio e la solitudine di quell'angolo, tra mille abitazioni, non lascia spazio a speranze o a vie di fuga.

Il dolore metropolitano che si agita nella musica dei Katatonia post-Brave Murder Day è malinconico, sofferto, cerebrale. La band ha abbandonato le influenze death/doom degli esordi per spostarsi sempre più verso il rock alternativo e la dark wave, cogliendo tanto dai The Cure di Pornography, quanto dai Tool di Lateralus, mantenendo un'attitudine gotica certamente non comune nell'ambiente rock. Le loro canzoni, dirette sia nella musica che nei testi, dipingono scenari di urbano dolore psicologico, forzando volutamente la mano ma senza cadere mai nello stucchevole o melodrammatico. Sette album, mai un passo falso. Last Fair Deal Gone Down (del 2001) forse è il massimo esempio di sporcizia mentale, sotto psicofarmaci e alcool, tra peccati devastanti per la propria identità. C'è l'autocommiserazione della depressione (eccessiva in quanto daviata, e perfettamente raccontata dalla band svedese), e la mancanza di forza che si estremizza nella vera e propria catatonia. Questo disco trova un corrispettivo in un libro altrettanto sofferto: Il Principio del Dolore di Adam Hasslet. Una serie di racconti, vivi e dolorosi, come le 11 canzoni del sopracitato capolavoro dei Katatonia.











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