martedì, marzo 25, 2008

Godspeed You Black Emperor! - Yanqui U.X.O.


Immagini. Fotogrammi in bianco e nero ormai sbiaditi, vecchi ed usurati, intensamente vissuti. Uomini che marciano lenti, per una guerra che non è la loro. Sporchi di sabbia e accecati dal sole cocente, in un luogo post apocalittico, assolutamente devastato dalla banalità del male. Il film scorre, ora placido e malinconico, ora esplosivo e oscuro, angosciante come un fiume in piena, trascina con sè ogni cosa lungo paesaggi desolati e solitari, tra vortici emotivi. Nessuna parola. Le drammatiche immagini evocate nella nostra mente derivano da un intreccio di suoni e rumori, melodie in continua evoluzione. Lunghi crescendo, che levitano tra i tempi dilatatissimi delle cinque tracce dell’album, fino ad esplosioni tutt’altro che risolutive, immerse in atmosfere oscure e glaciali, affascinanti come l’aurora boreale. Un dolce minimalismo che rende ogni passaggio sincero e vissuto, e che si controbilancia perfettamente con i vari strati sonori, con le strutture sinuose e complesse, con la maestosità di una musica fuori dal tempo. Il terzo, e ultimo, disco dei canadesi Godspeed You Black Emperor! fonde con maestria il post-rock con la psichedelia, il rock indipendente con il rock progressivo, il noise con la musica cosmica, la musica classica con le colonne sonore mantenendo una forte personalità e una carica emotiva travolgente. La musica del silenzio, della riflessione, della presa di coscienza. Fin dal titolo (yankee unexplosed ordnance) viene trasmessa una sensazione di calma apparente, fragile, sotto la quale si nasconde un dramma. La data che dona il titolo alla prima suite, 09-15-00 (corrispondente all’inizio della seconda intifada) preannuncia la malinconia dipinta dagli intrecci sonori di chitarre e archi. E’ un’estenuante attesa, una lenta e lunga marcia, prima del finale distruttivo carico di noise e risonanze, guidato da percussioni che si elevano sempre più in alto. Le lunghe e interminabili salite - da uno stato di quiete fino alla tempesta più travolgente - sono una delle principali caratteristiche della musica della band (composta da nove musicisti), che con la seconda parte della già citata suite, catapulta nuovamente l’ascoltatore in un limbo sospeso, di fronte a edifici distrutti e resti di serenità bruciati, con un senso di solitudine disarmante. L’approccio della band al post rock è decisamente più progressivo rispetto al passato, grazie anche ad una produzione (affidata a Steve Albini) che rende chiara ogni nota, alla ricerca di un’epicità mai così marcata, forse a discapito della nostalgia presente nei dischi precedenti, dove i dialoghi e i rumori ambientali erano una parte fondamentale della musica dei GY!BE, così come le lunghe pause, e le strutture spezzate e frammentarie. Con Yanqui U.X.O. la band intraprende una strada più scorrevole, fluida, diretta, che si dimostra funzionale all’atmosfera catartica dell’opera: un lungo percorso attraverso la violenza e il desiderio di pace, più che un sguardo nelle nostre memorie come avveniva in passato. Inutile dire che l’intensa poetica non ne risente minimamente. Un arpeggio stoppato e ricco di riverberi, al quale si mescolano le malinconiche note dei violini, ci introduce nella grandiosa Rocket Fall on Rocket Falls. Un viaggio lungo la via della disperazione silenziosa, quella che gli oppressi devono nascondere negli anfratti della loro anima, in profondità. La suite si snoda tra sali-scendi maestosi ed epici, che mostrano rabbia vitale e voglia di rivalsa, seguiti da un’attesa snervante per un attacco che sembra non arrivare mai, tra percussioni ipnotiche e lunghissime note di strumenti a fiato, sospese al di là del tempo. L’apertura che segue è uno squarcio, una voragine, un baratro alla ricerca della libertà, un breve - ma maestoso - sprazzo di psichedelia (qualcuno ha presente i Pink Floyd di Pompei?!), che chiude una delle migliori composizioni della carriera del gruppo. Motherfucker=Redemeer è la terza, e ultima, suite (anche’essa divisa in due parti). Questa nasce tra dolci note dal sapore krimsoniano per poi evolversi in un’inedito ritmo in levare che dona vigore e ritmo ad un disco finora sostanzialmente riflessivo. L’atmosfera non è plumbea come in precedenza: sembra quasi che un bagliore di speranza si faccia largo tra le macerie, anche quando i ritmi rallentano per immergersi nel classico post-rock caro a gruppi come Explosions in the Sky o Mogwai, fatto di arpeggi dolci e malinconici, leggeri e sognanti, accompagnati da un delicato gusto per le dissonanze e per il rumorismo. La seconda parte di Motherfucker=Redeeemer chiama in causa i Tangerine Dream di Zeit con la loro dilatazione estrema dei tempi, attraverso droni rumorosi che si amalgamano con giri di basso ipnotici e psichedelici. Un viaggio finale, illuminato da una luce di speranza, che sembra richiamare verso di se, oltre la tempesta di chitarre stridenti. L’ennesima progressione, verso l’alto, fino allo svenimento, al di fuori della realtà. Senza aprire bocca i Godspeed You Black Emperor! si cimentano in un’opera cinematografica con forti richiami politico-sociali, evidenziati anche dal semplice ma bellissimo artwork (sul quale spicca un albero genealogico che collega varie major dell’industria discografica ad altrettante industrie di armi belliche). Dimostrazione del potere comunicativo della musica, Yanqui U.X.O. è una fortissima carrellata di immagini tristemente reali, saldamente ancorate al mondo che ci circonda, più che alla “realtà” cinematografica.
Riccardo Tognini

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