mercoledì, dicembre 24, 2008

Opeth - Ghost reveries


Gli Opeth provengono dal grande successo di pubblico di Damnation ma anche dalle critiche feroci dei fans storici che iniziano a considerarli ormai sulla via della "svendita artistica". La band continua per la propria strada fregandosene di entrambe le correnti di pensiero e compone un bellissimo disco, originale e moderno, ma profondamente ancorato al passato della band. Si percepisce un maggior gusto per la melodia, e soprattutto una profonda influenza per quel prog settantiano che da sempre appassiona Akerfeldt e compagni. Per amplificare questa esigenza, nel gruppo entra in pianta stabile il tastierista Per Wiberg che, senza cadere in banali arrangiamenti orchestrali classici del peggior metal gotico, ricama bilanciatissime e mai invadenti note dal sapore leggermente psichedelico. Il lavoro di Wiberg, pur non essendo di primo piano, si dimostra fondamentale per la perfetta riuscita dell'opera (prodotta dallo stesso Akerfeldt, e non da Steven Wilson, come era invece accaduto per i tre dischi precedenti).

Già dalla prima canzone (Ghost of Perdition) si percepiscono le principali novità. Fin da subito, infatti, la musica suona molto moderna con riff potenti ma soprattutto energici e ricchi di groove (meno pesanti e classicamente metal) e atmosfere che, grazie al calibrato lavoro di tastiera, disegnano dipinti misteriosi e oscuri, che anzichè aprirsi in scenari di umide foreste o brughiere nebbiose, rappresentano colossali cattedrali gotiche, all'interno delle quali si respira un'aria affascinante, misteriosa e per certi versi mistica. C'è un senso di antico, di vissuto, di qualcosa di nascosto, continuamente da scoprire. Le melodie della voce suonano nuove e mai banali, l'energia è trascinante, le parti acustiche sono molto evocative. L'unico difetto è l'eccessiva somiglianza del riff toolico con il gruppo di Maynard. Per il resto il brano è memorabile.The Baying of the Hounds: il ritmo incalzante dell'intro, guidato dagli eccellenti contrappunti tastieristici, dimostrano ancora un allontanamento dal metal, e un evidente richiamo agli anni 70. L'atmosfera si fa leggermente più luminosa, come se bagliori di luce penetrassero dalle vetrate della cattedrale disegnando mutevoli traettorie con la polvere sospesa. Nella parte centrale, con un bellissimo break melodico, si percepisce chiaramente tale malinconia, per certi versi rilassante e pacificatrice. Ancora una volta ottime melodie vocali, e originale struttura della canzone che, seppur complessa, suona scorrevole e fluida.Beneath the Mire: chitarre e tastiera dialogano ancora. C'è molto spazio per la melodia e la canzone non è particolarmente pesante o oscura. C'è una palpabile speranza. Ancora un bellissimo break centrale guidato dalla tastiera (che richiama gli Yes). Il finale è uno stranissimo passaggio acquatico che ricorda i Porcupine Tree.Atonement: quarta canzone, quarto gioiello. Nessun momento di calo fino ad ora. Le atmosfere si fanno ancor più delicate e avvolgenti. E' una sorta di intermezzo spirituale di una bellezza abbagliante. Fraseggi melodici, percussioni che amplificano un andamento ipnotico creato da una semplice melodia vocale (voce effettata) e un bel coro. Potrebbe essere una canzone dei Porcupine Tree. Finale di piano da lacrime. Poi c'è il bell'intro alla canzone successiva...Reverie/ Harlequin Forest: una delle migliori mai composte dalla band. Trasmette una sensazione di rallentamento spazio-temporale davvero particolare. Si ha come la sensazione che tutto scorra velocemente ma che sfugga dalle mani. Come avere gli occhi spalancati e vedere solo un movimento fluido e lento, molto rilassante, mentre si capisce benissimo che tutto è frenetico, ma che scorre su un altro piano, e non si riesce a cogliere tale velocità. Forse per il dinamico lavoro di Lopez, (che anche in questo disco dimostra un tocco sopraffino e unico, che Axenrot non riuscirà certamente ad avvicinare, pur facendo un ottimo lavoro nel disco successivo) che si contrappone con la melodia vocale rallentata e gli strani fraseggi di chitarra. Lo stacco centrale è ancora una volta molto intimo e delicato (poche note, bellissimi suoni). C'è una pace in quel passaggio che solleva, fa galleggiare, per poi (grazie al meraviglioso fraseggio di chitarra) apre, dilata, annulla. La seconda parte, dapprima liquida poi distorta, infine ritmica (con una nota modulata continua) richiama i primissimi Opeth, ma con meno irruenza e una maggiore maturità. E' uno degli apici della carriera della band insomma, capolavoro totale.Hours of Wealth: bell'arpeggio evocativo, per certi versi spirituale (forse anche per il gusto onirico, tra l'altro presente spesso nel disco - e quasi assente in Watershed, molto più epico-). Molto originale lo stacco, con la melodia vocale quasi soul. Ammetto però che certi passaggi (già presenti qua e la nelle prime canzoni) mi suonano parecchio strani e non riesco a digerirli fino in fondo. L'assolo è delicatissimo, da pelle d'oca.... Una canzone "silenziosa" e "timida", che ben descrive la spiritualità del disco, a tratti molto intimo, a tratti maestosamente mistico.The Grand Conjuration: ecco la canzone che abbassa notevolmente la media (e per certi versi anticipa la freddezza del disco successivo). Basata su un riff diretto e orecchiabile, pur mostrando alcune interessanti ritmiche molto moderne, e un bel passaggio melodico, trasmette poco o nulla. Suona banale e superflua, forse la canzone più brutta nella carriera della band.Isolation Years: per fortuna nel finale si torna ad alti livelli. Un breve e intenso gioiello. Musica notturna, passionale e drammatica, come il fuoco di una candela.

Chiude in maniera perfetta (lacrime agli occhi) un disco eccezionale che, anche senza inventure nulla, si dimostra originale ed emotivamente intensissimo, e che mostra una nuova direzione per la band (anche se poi il disco successivo non seguirà tale percorso). La valutazione complessiva cade però verso il basso a causa di The Grand Conjuration, canzone assolutamente al di sotto degli standard della band. Per fortuna risulta essere un episodio isolato all'interno di un disco coraggioso e molto emozionante.

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