Non mi aspettavo certamente che i Kayo Dot dal vivo fossero in grado di riprodurre la loro musica arzigogolata come su disco...però non immaginavo di dovermi fare le 4 ore di auto che mi separavano da casa, sulla strada del ritorno, profondamente deluso...
Fin dall'inizio (con The Manifold Curiosity, bellissima canzone di Choirs of the Eye) si è capito che i suoni non erano all'altezza (troppi alti, bassi quasi inesistenti, chitarra che copriva tutti nelle parti soft, piatti della batteria che coprivano tutto nel parti pesanti) e che la band non era in grado di ricreare le stupende musiche registrate in studio. Difficile rendere bene quei magistrali cambi di intensità e dinamica, ma soprattutto difficile rendere fluida la struttura completamente mutevole del pezzo.
Toby Driver fa il direttore d'orchestra e da il tempo a tutti, cercando di farli orientare nella marea di pause , ripartenze, arpeggi e sfuriate. Gli altri lo "inseguono" e la sensazione è perennemente quella di una band scoordinata, che non attacca con la dovuta precisione e naturalezza. Le canzoni sono stranamente rallentate, e le pause si allungano, quasi come per dare tempo a tutti i membri di "mettersi in fase". Così facendo però la musica della band perde una delle sue caratteristiche principali, cioè la scorrevolezza e la naturalezza. Io adoro i primi 2 dischi del gruppo, e amo proprio la capacità di costruire canzoni complesse che scivolano e confluiscono in maniera liquida e naturale, nonostante la mancanza di un chiaro filo conduttore. Dal vivo invece questa scorrevolezza viene persa....e le canzoni risultano spezzettate, e mal coordinate. The Manifold Curiosity (oltre a non poter contare su tutti i bellissimi arrangiamenti della versione in studio) pecca soprattutto nella parte pesante, dove il delirio (che su disco è comunque energico e trascinante, nella sua follia) suona come una cacofonia dominata da note stridenti, un muro sonoro che ha poco a che vedere con il pesantissimo martellare della versione in studio. Immortelle and Paper Caravelle (da Dowsing Anemone with Copper Tongue) è la seconda canzone, e, dopo un bell'intro, suona troppo dilatata, rallentata, spezzettata. Si riconosce la bellezza delle melodie di chitarra, la voce eterea, la delicatezza di certi passaggi, ma il tutto scorre in modo troppo farraginoso e poco naturale.
Il terzo pezzo credo fosse dell'ultimo disco (che conosco poco) ed è davvero difficile da seguire. Vanno molto meglio le cose con la conclusiva Marathon (anche questa da Choirs of the Eye), che inizialmente ha una struttura più classica e la band si trova più compatta e precisa, e nel finale, guidato dalle belle note della tastiera, l'atmosfera si fa finalmente sognante ed eterea. La voce di Toby non raggiunge i picchi emotivi della versione in studio, ma grazie ad una tonnellata di delay ed echi vari riesce a suonare molto ipnotica e affascinante, davvero bella.
A quel punto penso: "ok, i suoni stanno migliorando, la band inizia ad ingranare..." e tutto finisce. 50 minuti. Niente di più. Resta una sensazione di occasione perduta. Peccato
Fin dall'inizio (con The Manifold Curiosity, bellissima canzone di Choirs of the Eye) si è capito che i suoni non erano all'altezza (troppi alti, bassi quasi inesistenti, chitarra che copriva tutti nelle parti soft, piatti della batteria che coprivano tutto nel parti pesanti) e che la band non era in grado di ricreare le stupende musiche registrate in studio. Difficile rendere bene quei magistrali cambi di intensità e dinamica, ma soprattutto difficile rendere fluida la struttura completamente mutevole del pezzo.
Toby Driver fa il direttore d'orchestra e da il tempo a tutti, cercando di farli orientare nella marea di pause , ripartenze, arpeggi e sfuriate. Gli altri lo "inseguono" e la sensazione è perennemente quella di una band scoordinata, che non attacca con la dovuta precisione e naturalezza. Le canzoni sono stranamente rallentate, e le pause si allungano, quasi come per dare tempo a tutti i membri di "mettersi in fase". Così facendo però la musica della band perde una delle sue caratteristiche principali, cioè la scorrevolezza e la naturalezza. Io adoro i primi 2 dischi del gruppo, e amo proprio la capacità di costruire canzoni complesse che scivolano e confluiscono in maniera liquida e naturale, nonostante la mancanza di un chiaro filo conduttore. Dal vivo invece questa scorrevolezza viene persa....e le canzoni risultano spezzettate, e mal coordinate. The Manifold Curiosity (oltre a non poter contare su tutti i bellissimi arrangiamenti della versione in studio) pecca soprattutto nella parte pesante, dove il delirio (che su disco è comunque energico e trascinante, nella sua follia) suona come una cacofonia dominata da note stridenti, un muro sonoro che ha poco a che vedere con il pesantissimo martellare della versione in studio. Immortelle and Paper Caravelle (da Dowsing Anemone with Copper Tongue) è la seconda canzone, e, dopo un bell'intro, suona troppo dilatata, rallentata, spezzettata. Si riconosce la bellezza delle melodie di chitarra, la voce eterea, la delicatezza di certi passaggi, ma il tutto scorre in modo troppo farraginoso e poco naturale.
Il terzo pezzo credo fosse dell'ultimo disco (che conosco poco) ed è davvero difficile da seguire. Vanno molto meglio le cose con la conclusiva Marathon (anche questa da Choirs of the Eye), che inizialmente ha una struttura più classica e la band si trova più compatta e precisa, e nel finale, guidato dalle belle note della tastiera, l'atmosfera si fa finalmente sognante ed eterea. La voce di Toby non raggiunge i picchi emotivi della versione in studio, ma grazie ad una tonnellata di delay ed echi vari riesce a suonare molto ipnotica e affascinante, davvero bella.
A quel punto penso: "ok, i suoni stanno migliorando, la band inizia ad ingranare..." e tutto finisce. 50 minuti. Niente di più. Resta una sensazione di occasione perduta. Peccato
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