venerdì, gennaio 13, 2012

Blackfield - Welcome to my DNA (2011)



Un uomo di fronte ad una spaziosa vetrata osserva un oceano di nuvole. La bella copertina di Welcome to my DNA (concepita da Carl Glover inizialmente per l’ultimo disco dei Marillion) ben si sposa con la serenità della musica della band di Wilson e Geffen, che mai in precedenza aveva ricercato atmosfere tanto solari. La delicata malinconia assume in quest’occasione un tono ancor più romantico che in passato, smarrendo il retrogusto sottilmente psichedelico e l’affascinante nostalgia dei primi due album, per avvicinarsi molto a sofisticato pop da classifica. Anziché lasciarsi andare a sussulti emotivi, l’album scorre in una quiete soffusa che da una parte ammalia e coinvolge per il suo spirito sentimentale, dall’altra stucca per alcuni passaggi ai limiti dello sdolcinato e del melenso. La sensibilità di Geffen è la vera protagonista dei Blackfield recenti, e la dimostrazione risiede nel fatto che il musicista israeliano abbia composto 10 degli 11 brani, e si sia preso cura di quasi tutti gli arrangiamenti orchestrali. Proprio l’abbondanza degli strati sonori a tratti risulta eccessiva e soffoca le melodie, togliendo un pizzico di intimità, in favore di una vena epica e maestosa. Ma nel complesso l’album emoziona, soprattutto quando con semplicità disegna melodie romantiche (Glass House, DNA). Il rischio di cadere nel calderone del pop da supermercato è quanto meno evidente ma la band riesce sempre a rimanere in bilico senza mai precipitare, grazie soprattutto ad alcuni lampi degni del sublime passato (Zigota).

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