Estate 1990. In un seminterrato di
Brooklyn i tre membri dei Codeine registrano l’album di debutto. La musica che
nasce da quello scantinato è desolata, disillusa, stanca. Fiacca il respiro
come l’afa estiva, isola e avvolge come la nebbia autunnale, ipnotizza come le
luci della metropoli, osservate dal finestrino di un’auto che corre sulla
strada bagnata. Intimo e ipnotico, scivola a ritmo lentissimo, nel vuoto di una
solitudine che non ha alternative. Un noise rock caratterizzato da arpeggi
delicatamente dissonanti, rintocchi ritmici al rallentatore, e avvolgenti
squarci di distorsione. Nichilista e stanco, Frigid Stars è un baratro verso il
quale siamo tentati di dirigerci, nonostante la paura che è in grado di
incutere. Un lavoro complesso, nonostante l’apparente staticità, che segna un
profondo distacco anche nei confronti dell’indie rock del quale è figlio. Non
ha paura di ricorrere a bagliori epici e commoventi, senza per questo mai cadere
nell’enfasi esasperata che ha reso stucchevoli tante ballate rock. Esistenziale
e catartico, nella sua semplicità, così come certi dischi di Neil Young e Nick
Drake, si discosta da qualsiasi fonte di ispirazione grazie ad una
personalità dirompente, che è
dimostrazione della sensibilità della band. Frigid Stars fungerà da ispirazione
per tutti i gruppi che, negli anni successivi, si forgeranno del titolo
slowcore o post rock, dai Low ai Mogwai, dai Bark Psychosis ai Godspeed You!
Black Emperor.
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